Diritto societario

Decadenza del CDA, strumentalità delle dimissioni da provare

Il Tribunale di Milano, con una recentissima pronuncia (Tribunale di Milano, Sentenza n. 247 del 14.01.2020), ha stabilito che in caso di decadenza del CDA successivamente rieletto con esclusione di uno solo dei precedenti consiglieri incombe su quest’ultimo, nella sua qualità di attore nella relativa azione giudiziale, “la prova del collegamento tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell’intero consiglio e la successiva immediata nomina di un nuovo consiglio composto da tutti i precedenti componenti meno l’attore, nonché la prova della sua esclusiva finalizzazione all’estromissione dell’attore dal collegio degli amministratori e quindi all’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa”.

Le società di persone devono liquidare il socio d’opera anche in base al valore del patrimonio sociale

La valutazione della quota del socio d’opera uscente da una società di persone, pur se sia da effettuarsi con metodo equitativo, non può prescindere dalla redazione della situazione patrimoniale della società al momento dello scioglimento del rapporto tra il socio e la società. Inoltre, l’onere di provare il valore della quota del socio uscente incombe agli amministratori della società.

A stabilire il criterio di calcolo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4260 del 19 febbraio 2020.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2020-02-19/la-snc-liquida-socio-d-opera-base-valore-suo-patrimonio-191111.php?uuid=ACkwraKB

Diritto civile 

Parmalar, Hsbc non ammessa al passivo 

La Cassazione ha definitivamente respinto, con la sentenza 3436/2020, la domanda di Hsbc Bank di insinuazione al passivo di “Parmalat Spa in Amministrazione Straordinaria”.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2020-02-12/parmalat-hsbc-bank-non-ammessa-passivo–171950.php?uuid=ACks80IB

L’oggettiva conoscenza del vizio per determinare il termine di decadenza per la denuncia di gravi vizi e difetti nel contratto di appalto 

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’articolo 1669 del codice civile a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. Lo prevede la Cassazione con l’ordinanza 16 gennaio 2020 n.777. L’accertamento del momento nel quale detta conoscenza sia stata acquisita, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2020-02-11/il-termine-denunciare-gravi-difetti-costruzione-decorre-quando-c-e-oggettiva-conoscenza-173802.php?uuid=ACqmGlIB

L’affitto di un immobile non può costituire affitto d’azienda. Chiarimento tra le due distinte figure contrattuali 

La Cassazione, con la sentenza n. 3888 del 17 febbraio 2020, ha chiarito che caratteristica saliente dell’azienda è che essa deve qualificarsi come un complesso unitario di beni (materiali e immateriali, a prescindere dal fatto che siano o meno di proprietà dell’imprenditore, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità) tenuto insieme dall’elemento dell’“organizzazione” che di tali beni ha fatto l’imprenditore in vista dell’esercizio dell’attività impresa. Di modo che nella contrattazione avente a oggetto l’azienda non viene meno l’unitarietà (conseguita mediante l’opera organizzativa dell’imprenditore) del complesso dei beni che la compongono, nel senso che questa unitarietà deve esistere al momento della concessione in godimento a terzi perché possa parlarsi di “affitto d’azienda”.

Per mettere in luce la distinzione tra affitto d’azienda e locazione di immobile non può, dunque, prescindersi dalla esistenza di questo requisito dell’organizzazione dei beni che sono oggetto del contratto di concessione in godimento, al momento in cui questo è concluso. Infatti, un contratto che conceda il godimento dell’azienda a terzi ha per oggetto un’azienda che preesiste e, cioè, un complesso di beni organizzati dal soggetto cedente e, come tali, concessi in godimento al cessionario. Non è pertanto compatibile con il concetto di affitto d’azienda la concessione in godimento di beni che sia poi l’avente causa a organizzare in vista dell’esercizio dell’impresa.

In sostanza, nell’affitto d’azienda elemento indefettibile è che venga ceduto il godimento, oltre che di beni aziendali, anche della loro organizzazione: se oggetto della cessione è, bensì, un complesso di beni, ma niente affatto organizzati ai fini dell’esercizio di una impresa, non può dirsi che si stia cedendo un’azienda, la quale invece presuppone quell’elemento.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2020-02-17/l-affito-uno-spazio-non-puo-essere-locazione-d-azienda-210719.php?uuid=ACXKw7JB

Si all’azione revocatoria sulla casa vacanza destinata al fondo patrimoniale 

Nella costituzione del fondo patrimoniale il disponente deve assolvere il c.d. “dovere morale” restando, pertanto, soggetta ad azione revocatoria da parte dei creditori del disponente la costituzione di fondi patrimoniali che si desume non rispondano all’adempimento di tale dovere (come, nella fattispecie oggetto della pronuncia in commento, la casa vacanze).

Così si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, allineandosi a precedenti pronunce dello stesso tenore, con la sentenza 2077 del 30 gennaio 2020.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2020-02-19/fondo-patrimoniale-si-revocatoria-casa-vacanza-210907.php?uuid=AC2j9cKB

Diritto fallimentare

Novità per le microimprese: le segnalazioni di allerta previste dal nuovo Codice della Crisi slittano a febbraio 2021

Decreto correttivo al Codice della crisi

Ci sono novità in vista per il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019).
Il decreto correttivo in via di discussione e approvazione entro la primavera di quest’anno, apporta alcune modifiche alla nuova disciplina concorsuale introdotta un anno fa in attuazione della legge delega n. 155/2017, e destinata ad entrare in vigore ad agosto 2020.
E’ stata differita al 15 febbraio 2021 l’operatività dell’obbligo di segnalazione a carico degli organi di controllo interno e sui revisori contabili, oltre che sui creditori pubblici qualificati (Inps, Fisco e agenti della riscossione). Si tratta della segnalazione che ha per destinatari l’ocri ed i medesimi organi di controllo societario; lo slittamento riguarderà le imprese che negli ultimi due esercizi non hanno superato nessuno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità. Nelle intenzioni del ministero della Giustizia la disposizione, che da molte parti si sarebbe in realtà voluta più ampia, si fa carico della preoccupazione di consentire una gestione efficiente delle procedure di allerta da parte degli organismi di composizione della crisi.

Modificate anche le condizioni che devono indurre l’amministrazione finanziaria a muoversi e avviare la procedura di segnalazione: considerato l’ammontare dell’Iva, che, nella fascia più elevata, è pari al 22% (da cui peraltro deve essere dedotta l’Iva sugli acquisti), la soglia di rilevanza del 30% attualmente «non potrebbe essere mai raggiunta nel trimestre a cui si riferisce la comunicazione della liquidazione periodica di cui all’articolo 21- bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». La diversa percentuale, del 10%, individuata rappresenta un valore mediano e tiene conto dell’esistenza di settori produttivi in cui l’Iva dovuta è inferiore al 22 per cento.

http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/parlamento-e-giustizia/2020-02-11/per-microimprese-segnalazioni-allerta-slittano-febbraio-2021-195527.php?uuid=ACldunIB

Diritto tributario 

Gli abiti da lavoro forniti ai dipendenti sono costi deducibili

Come ha precisato la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza del 12 febbraio 2020 ( sentenza n. 3387), sono costi deducibili gli abiti indossati obbligatoriamente dai dipendenti durante l’orario di lavoro.

Il principio tributario è stato emesso dalla Suprema Corte in occasione di un contenzioso sorto con Luisa Spagnoli, nota stilista italiana, che ha vinto contro l’Agenzia delle entrate. I giudici hanno sottolineato che «come la somministrazione dei pasti ai dipendenti da parte del datore di lavoro non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e non è assoggettabile ad IVA, egualmente la fornitura al personale di indumenti da indossare durante l’orario di lavoro, non rientra tra le prestazioni di servizi ma tre gli obblighi contrattuali dell’imprenditore che fornisce l’abbigliamento ai propri dipendenti al pari delle altre strumentazioni di lavoro o dei pasti». L’Agenzia delle Entrate che aveva proposto il ricorso sono è stata condannata a pagare le spese.